IL FONTE PLINIANO Manduria (Ta)
Maria Luisa Barbuti
Questo antichissimo sito prende il nome da Plinio, storico e
naturalista latino che nella sua “Naturalis
Historia” lo descrive come “miracoloso” per le acque che sgorgano dalla
sorgente. L’aggettivo può riferirsi sia alle proprietà terapeutiche dell’acqua
sorgiva che filtra tutt’ora dalla falda acquifera, sia al fatto che il livello
dell’acqua rimanga costante, indipendentemente dalla quantità che confluisce al
centro della grotta. Possono essere valide entrambe le ipotesi, in quanto
coesistono. Il Fonte era dunque conosciuto nel mondo antico e certamente
frequentato dai Messapi. Questo per ciò che concerne la sua funzione sociale
più immediata riguardante l’utilizzo di un bene prezioso e vitale come l’acqua,
sorgente di vita. Osserviamo però con
maggiore attenzione la struttura del sito e cerchiamo di cogliere le
suggestioni che provoca al visitatore.
Siamo in una grotta sotterranea, la cui calotta semisferica
presenta un diametro di circa 18 metri e un’altezza di circa 9 metri, cioè con
struttura modulare di 3 metri. Nonostante la successione degli interventi, un
po’ complicata da definire in questa sede, possiamo risalire ad una grotta
naturale, con successive modifiche da parte dell’uomo. Il concepimento di
questo sito, molto più antico, ma riutilizzato per la stessa funzione dai
Messapi, sembra essere a carattere rituale-religioso.
Si accede attraverso una scalinata tagliata nella roccia,
attualmente sovrapposta da un’altra più stabile, in termini di sicurezza.
Questo intervento purtroppo toglie già qualcosa al potere suggestivo e
comunicativo del Fonte. Chi ricorda la ”discesa” impervia e incerta sugli
scalini naturalmente irregolari e originali ha un tesoro da conservare: la
lenta discesa che guida, inghiottisce e introduce al cuore del Tempio Sacro che accoglie come un grembo materno la vita che rinasce.
Dalla luce dell’esterno si passa alla tenebrosità dell’interno il cui centro è
inondato dalla luce proveniente dall’apertura tronco-piramidale posta in alto.
Questo passaggio luce- tenebre, tenebre-luce sembra non essere molto diverso da quello riscontrato nella simbologia della
fede cristiana, d’altro canto espressa nelle varie epoche storiche in versione
letteraria e visiva. Si pensi all’Inferno e Paradiso danteschi, agli affreschi
di carattere religioso e alle Pale d’altare inondate dal sole nascente delle
chiese romaniche. Cosa dire degli affreschi della chiesa controriformata dove
l’illusione prospettica proietta i fedeli nella luce e nel cielo come in un film
in 3D? Siamo nella simbologia,
nell’allegoria, nella suggestione, nei luoghi cioè dove la comunicazione visiva
raggiunge direttamente il profondo dell’ essere umano, scavalcando culture e
tempi, superando l’individuale e facendo perno sull’inconscio collettivo di
Junghiana memoria. A sostenere l’ipotesi
del Fonte Pliniano come antichissimo luogo di rituali è proprio, a mio avviso,
la struttura stessa con le sue caratteristiche. Dopo la discesa, la calotta
semisferica ingabbia gli astanti in uno spazio geometrico ben definito e chiuso
da una proporzione geometrica che non concede distrazioni. Lo sguardo ha solo
una direzione: la luce del cielo. L’acqua è l’altro elemento presente nella
grotta. Acqua e luce, elementi vitali e spirituali. Che il Tempio sia stato luogo di riti per la fecondità dove potevano compiersi anche atti sacrificali? D'altra parte, una nuova nascita doveva costituire un evento formidabile, misterioso e agognato, calcolando la lontana epoca. Fin dalla Preistoria vengono prodotte statuette della "Dea Madre" o della "Fecondità" e non è escluso che i "Riti Disioniaci" e la "Taranta" siano propiziatori in tal senso.
Le Divinità cambiano nel tempo e nello spazio, ma non è mai cambiato
il bisogno umano di vivere emotivamente la tensione vita-morte-rinascita,di appellarsi ad una entità superiore riconducibile alla
“luce” e all’aldilà.
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