martedì 16 luglio 2013

LA TROZZELLA MESSAPICA UN'ANFORA SIMBOLICA

LA TROZZELLA MESSAPICA

UN'ANFORA SIMBOLICA

di Maria Luisa Barbuti


Trozzella messapica prodotta a Manduria
La trozzella è la particolare anfora messapica presente dal VI sec. a.C. , ma che trova la sua maggiore diffusione dal VI al III sec. a.C. quando si esaurisce la produzione indigena. La Messapia, il cui significato sembra corrispondere a Terra di Mezzo (tra due mari) occupava l’area geografica del Salento, da Leuca a Egnazia. Manduria fu una delle sue città più importanti. La Puglia, sul cui territorio è attestata la presenza dell’uomo da 150.000 anni (Uomo di Altamura), in arte vanta testimonianze del Paleolitico e del Neolitico con pitture rupestri, manufatti, piccole sculture, dolmen e menhir . Ne è un esempio la Grotta dei Cervi a Porto Badisco (Le) dove troviamo tracciati sulle pareti, simboli, graffiti e disegni lasciati dall’uomo preistorico. I simboli, rappresentati da semplici segni astratti come tratteggi, linee ondeggianti e spezzate, zig zag, cerchietti, spirali, croci, raggiere, ruote, croci uncinate di varie forme sono i veri testimonial delle radici e della continuità culturale dei Messapi, visto che li ritroviamo a distanza di millenni nella trozzella. In particolare si perpetua la rappresentazione della croce uncinata
 
Venere di Willendorf
 
 

VASI BICONICI

 
 
 
 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 

 TROZZELLE MESSAPICHE

 
 
 
Trozzelle decorate con croci uncinate o svastiche
                                                             
 e della forma biconica che in termini di bidimensionalità è una losanga. E’ vero che gli scambi commerciali e i rapporti della Messapia con la Grecia, che si attestano fin dal IX sec. a.C. comportarono l’integrazione tra i popoli e le affinità culturali e artistiche, così come è vero che l’arte vascolare messapica presenta forme d’ispirazione greca, ma la trozzella viene prodotta nella sola Messapia e non trova veri e propri riscontri in altri luoghi. Richiama di più la civiltà etrusca, nella fattispecie, il vaso biconico in uso nei banchetti funebri e il vaso canopo, urna cineraria antropomorfa, o il vaso di metallo protostorico munito di carrucole, che serviva per attingere l’acqua da fiumi o sorgenti. Sul vaso canopo possiamo trovare addirittura le braccia e il ritratto tridimensionale del defunto poggiato come un coperchio. La forma della trozzella ci riporta anche alle statuette del Paleolitico definite dagli studiosi Veneri o Divinità. Esempio conosciuto in tutto il mondo è la Venere di Willendorf (Austria), ma abbiamo esemplari anche in Puglia. Queste Veneri di forma biconica sono figure femminili con grande ventre e abbondanti seni, attributi con chiaro riferimento alla procreazione e maternità. Pensiamo che servissero per rituali propiziatori relativi alla nascita di una nuova vita. Il bravo artigiano messapico modellava la sintesi di un corpo femminile. D’altro canto ancora oggi una certa tipologia di corpo femminile viene definita ad anfora. Come nelle Veneri, anche nella trozzella il volume, incentrato sulla pancia globulare, si assottiglia verso il piede di forma tronco-conica, mentre verso l’alto si restringe al collo dal labbro estroflesso. Nell’era preistorica Il cuneo rivolto verso il basso, dal punto di vista della simbologia corrisponde al Femminile, mentre l’altro al Maschile. Nell’Era Cristiana corrisponderanno rispettivamente al Terreno e al Divino. Ora, considerando l’accoppiamento delle due forme nella sagoma biconica, non risulta difficile il riferimento alla procreazione. Se consideriamo che questo vaso era destinato alla donna e veniva conservato come oggetto prezioso da portare nell’oltretomba e che non era utilizzato nella quotidianità sebbene fosse destinato a contenere acqua, elemento vitale e simbolo della vita e del Femminile, l’associazione con la procreazione (forma biconica) e la creazione (croce uncinata) sembra essere più che pertinente. La forma a losanga, unitamente all’elemento simbolico della croce uncinata fanno parte del repertorio decorativo delle trozzelle, le troviamo nella forma e nella decorazione, come già osservato. La parola trozzella deriva dal latino trochlea che equivale a carrucola, da cui il termine locale “trozza” o “rotella” e proprio le trozze rendono facile l’identificazione di questo singolare vaso.
Le anse nastriformi sembrano scorrere sulle trozze, poste in alto e in basso, proprio come fossero su delle carrucole; partono dall’alto, vicino al collo come nelle anfore etrusche e da qui si elevano verso l’esterno per ricadere internamente sulla pancia globulare. Altra conferma del valore simbolico? Le prime trozzelle presentano due coppie di trozze e successivamente si arricchiscono di altre due. I Messapi non amavano rappresentare la figura umana, tanto che le decorazioni delle trozzelle sono prevalentemente a carattere geometrico o naturalistico. Oltre alle fasce lineari o ondeggianti e ai simboli come raggiere, tratteggi, punti, cerchi, losanghe, croci uncinate  si possono trovare tralci fitoformi stilizzati. I colori usati sono il bruno-nerastro e il rosso e nero sul fondo dell’argilla. Le trozzelle prodotte a Manduria intorno alla seconda metà del IV e nel III sec. a. C  presentano una fascia di grandi losanghe reticolate sul collo, fasce ondeggianti e ovuli verso la spalla su cui sono dipinte croci uncinate. Altre fasce di vario spessore decorano la parte inferiore fino al piede. Sulle trozze è rappresentata una croce a quattro raggi che  racchiudono,  due a due, quattro piccoli cerchietti. Unitamente ad altri oggetti troviamo la trozzella nei corredi funerari delle tombe femminili; trozzelle più piccole erano destinate alle bambine. Su questo vaso si lavora con significati e significanti primordiali, mantenendo intatti i messaggi universali come se costituissero la cellula imprescindibile del l’essere umano. La croce uncinata è un abbraccio tra l’uomo e l’universo a cui si ricongiunge e con cui si muove; la sua struttura a raggi con breve ripiegatura degli stessi in un’unica direzione (diffusa quella in senso orario) è da rapportare alla ruota che consente il movimento e l’energia. Il vaso biconico è il mondo terreno che rinnova la vita sulla terra con la procreazione. Che filosofi.


 
 
Profilo femminile messapico
 
 
 
 
Profilo femminile cretese
 
 

 
Ritratto maschile messapico
 
 
 
 
 
 
 

LE MURA MESSAPICHE DI MANDURIA


LE MURA MESSAPICHE DI MANDURIA

BATTAGLIE E ASSEDI

di Maria Luisa Barbuti





 
Guerriero messapico
 
 
 
Mura Messapiche con blocchi posti di testa e di fianco
 
Veduta delle Mura dalla zona di S. Antonio

  Le fonti antiche e le testimonianze artistiche e monumentali ci fanno presupporre che Manduria, già abitata da lungo tempo, intorno al V – IV sec. a. C. fosse un centro messapico grande e fortificato.  Sorgeva alle porte della Magna Grecia, vicino a Oria, quest’ultima considerata da molti  studiosi la sede regale della Messapia; posta su una leggera altura e cinta da poderose mura, possiamo considerarla un’acropoli. Non è facile stabilire con esattezza la nascita della città e quando venne fortificata con un sistema così potente, tuttavia sembra plausibile ipotizzare che Manduria, come altri centri dell’antica Messapia, pensasse già nel V sec. ad organizzare il proprio sistema difensivo per contrastare il crescente pericolo della colonia dorica di Taranto che nel 432 a.C. fonda Eraclea e successivamente Callipolis e Aletium, per spingersi in Peucezia e in Daunia. I punti di riferimento per la datazione delle mura sono dunque le battaglie di cui parlano gli antichi scrittori. Manduria viene citata con il toponimo Mandonion o Mandourion presso i Greci e con Manduria o Manduris presso i Romani in relazione ad importanti eventi bellici. Il primo evento si riferisce alla guerra di Taranto contro Messapi e in questa occasione si narra che Archidamo, re di Sparta, venuto dalla Grecia in aiuto dei Tarentini per combattere contro i Messapi, assediò Manduria trovando la morte sotto le mura il 3 agosto del 338 a.C. , giorno della sconfitta di Cheronea. Altre notizie storiche su Manduria risalgono al 212 a.C. quando Annibale invase il suo territorio riportando un ingente bottino, specie di cavalli. Infine, l’altro evento citato dalle fonti, il più devastante, è costituito dall’assedio ed espugnazione di Manduria nel 209 a.C. da parte di Quinto Fabio Massimo che fece ben 4000 prigionieri. Nel corso di questi secoli, dunque, Manduria era fortificata. Ammirare però I resti delle mura ancora oggi visibili, senza ricondurli all’intero sistema difensivo congeniato e realizzato dagli antichi Messapi, significherebbe cogliere solo in parte l’importanza dell’impianto stesso e della storia della città. Le mura infatti fanno parte di un sistema difensivo molto complesso che dopo 2500 continua raccontarci la sua storia gloriosa e le sue vicende. I tratti più consistenti e i blocchi sparsi in vari punti della città ci consentono di desumere lo sviluppo dei circuiti in linea d’aria e ricostruire l’ impianto dell’intero complesso fortificato che risulta costituito da tre cinta murarie  realizzate in tempi diversi. Nei pressi della chiesa di S. Antonio possiamo riscontrare un tratto della triplice cerchia rimasta ben conservata:  partendo dal muro interno vediamo i resti della prima cerchia, la più antica, preceduta dal fossato; nell’area interna del fossato vediamo un tratto della seconda cerchia, definita anche muro di rinforzo, (rinvenuto durante gli scavi del 1955-1960, diretti dal Soprintendente Nevio Degrassi) probabilmente costruita come muro di rinforzo oppure per la difesa dagli attacchi provenienti da Nord; nell’area esterna possiamo notare la terza cerchia muraria, anch’essa preceduta dal fossato, costruita a doppia cortina con riempimento interno costituito da massi irregolari di varia grandezza. Sulla base dei riferimenti storici sopracitati, la cerchia interna viene fatta risalire al V - IV sec. a.C. tenendo conto dell’emergenza di fronte alla conflittualità tra i Messapi e la città greca di Taranto ( il  Moretti è precedente al IV sec. a.C. ). La cerchia esterna è fatta risalire dal Degrassi al III sec. a.C. mentre la Marin  la data al II sec. a.C.  in base al ritrovamento di una moneta datata al 140 a.C. in una tomba sottostante le mura. Ricapitolando, tenendo conto delle fonti storiche l’intero sistema difensivo sarebbe stato costruito tra il V-IV sec. e il  III–II  sec. a.C.  Il perimetro della cinta più antica ha una forma pentagonale e misura intorno a 2187 m. mentre  quella esterna misura circa 3382. Le due cerchie, che per un ampio tratto correvano parallele, gradualmente si discostavano dando luogo ad uno spazio sempre più ampio denominato Pomerio, i cui confini sono attualmente identificabili nel tracciato delle mura esterne nell’area dell’antica Via delle Muraglie, Piazza Garibaldi e  via del Fossato.  Questa ampia distesa, che probabilmente era destinata anche  alla coltivazione,  potremmo paragonarla ad una Piazza in cui si svolgevano varie attività, anche militari. Tenendo conto dell’incremento demografico registrato in Messapia, il Pomerio poteva rispondere anche all’esigenza di ospitare la popolazione e in questo caso i centri abitati potevano  essere due, riservati a ranghi sociali diversi; il centro più sicuro dagli attacchi, quello interno, sarebbe stato riservato al ceto elevato. Il sistema costruttivo delle mura, tradizionalmente definite megalitiche per l’impiego di grandi massi sovrapposti senza  l'uso di malta sono realizzate secondo l’antichissima tecnica riscontrabile, come in altre parti del mondo, anche nei Dolmen, nei nuraghi,
 
                                            
                                              Tratto di Mura Messapiche con blocchi posti di testa
 nelle mura megalitiche di Micene, che ci offre, quest'ultima, con la famosa  Porta dei Leoni, uno dei massimi esempi del sistema costruttivo trilitico. Con questo sistema costruttivo, enormi pietre sovrapposte  si sorreggono vicendevolmente, mantenendo l’equilibrio statico del monumento. In tempi più recenti  lo riscontriamo nei i trulli e i bei muretti a secco. Dal punto di vista costruttivo, le mura messapiche di Manduria presentano tecniche diverse che corrispondono a tempi diversi. Nella cerchia interna, di forma vagamente pentagonale, i massi scavati dal sottosuolo e riutilizzati lasciando il vuoto del fossato, sono disposti tutti di testa e squadrati in maniera imperfetta. La cinta esterna, meglio conservata, assume una forma di tipo ovale ed è costituita, come abbiamo già notato, da una doppia cortina con terrapieno interno. Il suo spessore raggiunge 5 m. e i blocchi sono disposti alternativamente di testa e in direzione della lunghezza. Il terzo muro rinvenuto con gli scavi di Degrassi segue una tecnica più evoluta. I massi sono anch’essi sovrapposti senza malta, ma ben levigati e incastrati perfettamente. Trasportati e non ricavati direttamente dal sottosuolo circostante, addossati in alcuni punti alla cinta interna, fanno pensare a un muro di rinforzo costruito in tempo di tregua con la massima attenzione e cura. Il complesso murario si concludeva con la presenza di porte di accesso, delle quali sono rimaste tracce dei cardini. La tradizione ci tramanda quattro porte: Porta Brenna verso Brindisi, Porta Sybar verso Lecce, Porta Nettuno verso il mare, Porta Taras verso Taranto. Il Pacelli indica una Cittadella collocata a nord est e fa notare una probabile torre circolare posta lungo Via Del Fossato, della quale ancora oggi possiamo vedere la parte tondeggiante. Il sistema difensivo era munito di canali sotterranei percorribili che consentivano la fuga o gli attacchi al nemico. Per completare il quadro di un forte e geniale sistema difensivo ricordiamo la presenza delle numerose  specchie , che avevano la funzione di avvistamento.
 

 
Mura Messapiche a blocchi regolari
                                                                                

                                           
                                                     
                                                      Mura Messapiche a blocchi irregolari