martedì 16 luglio 2013

LA TROZZELLA MESSAPICA UN'ANFORA SIMBOLICA

LA TROZZELLA MESSAPICA

UN'ANFORA SIMBOLICA

di Maria Luisa Barbuti


Trozzella messapica prodotta a Manduria
La trozzella è la particolare anfora messapica presente dal VI sec. a.C. , ma che trova la sua maggiore diffusione dal VI al III sec. a.C. quando si esaurisce la produzione indigena. La Messapia, il cui significato sembra corrispondere a Terra di Mezzo (tra due mari) occupava l’area geografica del Salento, da Leuca a Egnazia. Manduria fu una delle sue città più importanti. La Puglia, sul cui territorio è attestata la presenza dell’uomo da 150.000 anni (Uomo di Altamura), in arte vanta testimonianze del Paleolitico e del Neolitico con pitture rupestri, manufatti, piccole sculture, dolmen e menhir . Ne è un esempio la Grotta dei Cervi a Porto Badisco (Le) dove troviamo tracciati sulle pareti, simboli, graffiti e disegni lasciati dall’uomo preistorico. I simboli, rappresentati da semplici segni astratti come tratteggi, linee ondeggianti e spezzate, zig zag, cerchietti, spirali, croci, raggiere, ruote, croci uncinate di varie forme sono i veri testimonial delle radici e della continuità culturale dei Messapi, visto che li ritroviamo a distanza di millenni nella trozzella. In particolare si perpetua la rappresentazione della croce uncinata
 
Venere di Willendorf
 
 

VASI BICONICI

 
 
 
 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 

 TROZZELLE MESSAPICHE

 
 
 
Trozzelle decorate con croci uncinate o svastiche
                                                             
 e della forma biconica che in termini di bidimensionalità è una losanga. E’ vero che gli scambi commerciali e i rapporti della Messapia con la Grecia, che si attestano fin dal IX sec. a.C. comportarono l’integrazione tra i popoli e le affinità culturali e artistiche, così come è vero che l’arte vascolare messapica presenta forme d’ispirazione greca, ma la trozzella viene prodotta nella sola Messapia e non trova veri e propri riscontri in altri luoghi. Richiama di più la civiltà etrusca, nella fattispecie, il vaso biconico in uso nei banchetti funebri e il vaso canopo, urna cineraria antropomorfa, o il vaso di metallo protostorico munito di carrucole, che serviva per attingere l’acqua da fiumi o sorgenti. Sul vaso canopo possiamo trovare addirittura le braccia e il ritratto tridimensionale del defunto poggiato come un coperchio. La forma della trozzella ci riporta anche alle statuette del Paleolitico definite dagli studiosi Veneri o Divinità. Esempio conosciuto in tutto il mondo è la Venere di Willendorf (Austria), ma abbiamo esemplari anche in Puglia. Queste Veneri di forma biconica sono figure femminili con grande ventre e abbondanti seni, attributi con chiaro riferimento alla procreazione e maternità. Pensiamo che servissero per rituali propiziatori relativi alla nascita di una nuova vita. Il bravo artigiano messapico modellava la sintesi di un corpo femminile. D’altro canto ancora oggi una certa tipologia di corpo femminile viene definita ad anfora. Come nelle Veneri, anche nella trozzella il volume, incentrato sulla pancia globulare, si assottiglia verso il piede di forma tronco-conica, mentre verso l’alto si restringe al collo dal labbro estroflesso. Nell’era preistorica Il cuneo rivolto verso il basso, dal punto di vista della simbologia corrisponde al Femminile, mentre l’altro al Maschile. Nell’Era Cristiana corrisponderanno rispettivamente al Terreno e al Divino. Ora, considerando l’accoppiamento delle due forme nella sagoma biconica, non risulta difficile il riferimento alla procreazione. Se consideriamo che questo vaso era destinato alla donna e veniva conservato come oggetto prezioso da portare nell’oltretomba e che non era utilizzato nella quotidianità sebbene fosse destinato a contenere acqua, elemento vitale e simbolo della vita e del Femminile, l’associazione con la procreazione (forma biconica) e la creazione (croce uncinata) sembra essere più che pertinente. La forma a losanga, unitamente all’elemento simbolico della croce uncinata fanno parte del repertorio decorativo delle trozzelle, le troviamo nella forma e nella decorazione, come già osservato. La parola trozzella deriva dal latino trochlea che equivale a carrucola, da cui il termine locale “trozza” o “rotella” e proprio le trozze rendono facile l’identificazione di questo singolare vaso.
Le anse nastriformi sembrano scorrere sulle trozze, poste in alto e in basso, proprio come fossero su delle carrucole; partono dall’alto, vicino al collo come nelle anfore etrusche e da qui si elevano verso l’esterno per ricadere internamente sulla pancia globulare. Altra conferma del valore simbolico? Le prime trozzelle presentano due coppie di trozze e successivamente si arricchiscono di altre due. I Messapi non amavano rappresentare la figura umana, tanto che le decorazioni delle trozzelle sono prevalentemente a carattere geometrico o naturalistico. Oltre alle fasce lineari o ondeggianti e ai simboli come raggiere, tratteggi, punti, cerchi, losanghe, croci uncinate  si possono trovare tralci fitoformi stilizzati. I colori usati sono il bruno-nerastro e il rosso e nero sul fondo dell’argilla. Le trozzelle prodotte a Manduria intorno alla seconda metà del IV e nel III sec. a. C  presentano una fascia di grandi losanghe reticolate sul collo, fasce ondeggianti e ovuli verso la spalla su cui sono dipinte croci uncinate. Altre fasce di vario spessore decorano la parte inferiore fino al piede. Sulle trozze è rappresentata una croce a quattro raggi che  racchiudono,  due a due, quattro piccoli cerchietti. Unitamente ad altri oggetti troviamo la trozzella nei corredi funerari delle tombe femminili; trozzelle più piccole erano destinate alle bambine. Su questo vaso si lavora con significati e significanti primordiali, mantenendo intatti i messaggi universali come se costituissero la cellula imprescindibile del l’essere umano. La croce uncinata è un abbraccio tra l’uomo e l’universo a cui si ricongiunge e con cui si muove; la sua struttura a raggi con breve ripiegatura degli stessi in un’unica direzione (diffusa quella in senso orario) è da rapportare alla ruota che consente il movimento e l’energia. Il vaso biconico è il mondo terreno che rinnova la vita sulla terra con la procreazione. Che filosofi.


 
 
Profilo femminile messapico
 
 
 
 
Profilo femminile cretese
 
 

 
Ritratto maschile messapico
 
 
 
 
 
 
 

LE MURA MESSAPICHE DI MANDURIA


LE MURA MESSAPICHE DI MANDURIA

BATTAGLIE E ASSEDI

di Maria Luisa Barbuti





 
Guerriero messapico
 
 
 
Mura Messapiche con blocchi posti di testa e di fianco
 
Veduta delle Mura dalla zona di S. Antonio

  Le fonti antiche e le testimonianze artistiche e monumentali ci fanno presupporre che Manduria, già abitata da lungo tempo, intorno al V – IV sec. a. C. fosse un centro messapico grande e fortificato.  Sorgeva alle porte della Magna Grecia, vicino a Oria, quest’ultima considerata da molti  studiosi la sede regale della Messapia; posta su una leggera altura e cinta da poderose mura, possiamo considerarla un’acropoli. Non è facile stabilire con esattezza la nascita della città e quando venne fortificata con un sistema così potente, tuttavia sembra plausibile ipotizzare che Manduria, come altri centri dell’antica Messapia, pensasse già nel V sec. ad organizzare il proprio sistema difensivo per contrastare il crescente pericolo della colonia dorica di Taranto che nel 432 a.C. fonda Eraclea e successivamente Callipolis e Aletium, per spingersi in Peucezia e in Daunia. I punti di riferimento per la datazione delle mura sono dunque le battaglie di cui parlano gli antichi scrittori. Manduria viene citata con il toponimo Mandonion o Mandourion presso i Greci e con Manduria o Manduris presso i Romani in relazione ad importanti eventi bellici. Il primo evento si riferisce alla guerra di Taranto contro Messapi e in questa occasione si narra che Archidamo, re di Sparta, venuto dalla Grecia in aiuto dei Tarentini per combattere contro i Messapi, assediò Manduria trovando la morte sotto le mura il 3 agosto del 338 a.C. , giorno della sconfitta di Cheronea. Altre notizie storiche su Manduria risalgono al 212 a.C. quando Annibale invase il suo territorio riportando un ingente bottino, specie di cavalli. Infine, l’altro evento citato dalle fonti, il più devastante, è costituito dall’assedio ed espugnazione di Manduria nel 209 a.C. da parte di Quinto Fabio Massimo che fece ben 4000 prigionieri. Nel corso di questi secoli, dunque, Manduria era fortificata. Ammirare però I resti delle mura ancora oggi visibili, senza ricondurli all’intero sistema difensivo congeniato e realizzato dagli antichi Messapi, significherebbe cogliere solo in parte l’importanza dell’impianto stesso e della storia della città. Le mura infatti fanno parte di un sistema difensivo molto complesso che dopo 2500 continua raccontarci la sua storia gloriosa e le sue vicende. I tratti più consistenti e i blocchi sparsi in vari punti della città ci consentono di desumere lo sviluppo dei circuiti in linea d’aria e ricostruire l’ impianto dell’intero complesso fortificato che risulta costituito da tre cinta murarie  realizzate in tempi diversi. Nei pressi della chiesa di S. Antonio possiamo riscontrare un tratto della triplice cerchia rimasta ben conservata:  partendo dal muro interno vediamo i resti della prima cerchia, la più antica, preceduta dal fossato; nell’area interna del fossato vediamo un tratto della seconda cerchia, definita anche muro di rinforzo, (rinvenuto durante gli scavi del 1955-1960, diretti dal Soprintendente Nevio Degrassi) probabilmente costruita come muro di rinforzo oppure per la difesa dagli attacchi provenienti da Nord; nell’area esterna possiamo notare la terza cerchia muraria, anch’essa preceduta dal fossato, costruita a doppia cortina con riempimento interno costituito da massi irregolari di varia grandezza. Sulla base dei riferimenti storici sopracitati, la cerchia interna viene fatta risalire al V - IV sec. a.C. tenendo conto dell’emergenza di fronte alla conflittualità tra i Messapi e la città greca di Taranto ( il  Moretti è precedente al IV sec. a.C. ). La cerchia esterna è fatta risalire dal Degrassi al III sec. a.C. mentre la Marin  la data al II sec. a.C.  in base al ritrovamento di una moneta datata al 140 a.C. in una tomba sottostante le mura. Ricapitolando, tenendo conto delle fonti storiche l’intero sistema difensivo sarebbe stato costruito tra il V-IV sec. e il  III–II  sec. a.C.  Il perimetro della cinta più antica ha una forma pentagonale e misura intorno a 2187 m. mentre  quella esterna misura circa 3382. Le due cerchie, che per un ampio tratto correvano parallele, gradualmente si discostavano dando luogo ad uno spazio sempre più ampio denominato Pomerio, i cui confini sono attualmente identificabili nel tracciato delle mura esterne nell’area dell’antica Via delle Muraglie, Piazza Garibaldi e  via del Fossato.  Questa ampia distesa, che probabilmente era destinata anche  alla coltivazione,  potremmo paragonarla ad una Piazza in cui si svolgevano varie attività, anche militari. Tenendo conto dell’incremento demografico registrato in Messapia, il Pomerio poteva rispondere anche all’esigenza di ospitare la popolazione e in questo caso i centri abitati potevano  essere due, riservati a ranghi sociali diversi; il centro più sicuro dagli attacchi, quello interno, sarebbe stato riservato al ceto elevato. Il sistema costruttivo delle mura, tradizionalmente definite megalitiche per l’impiego di grandi massi sovrapposti senza  l'uso di malta sono realizzate secondo l’antichissima tecnica riscontrabile, come in altre parti del mondo, anche nei Dolmen, nei nuraghi,
 
                                            
                                              Tratto di Mura Messapiche con blocchi posti di testa
 nelle mura megalitiche di Micene, che ci offre, quest'ultima, con la famosa  Porta dei Leoni, uno dei massimi esempi del sistema costruttivo trilitico. Con questo sistema costruttivo, enormi pietre sovrapposte  si sorreggono vicendevolmente, mantenendo l’equilibrio statico del monumento. In tempi più recenti  lo riscontriamo nei i trulli e i bei muretti a secco. Dal punto di vista costruttivo, le mura messapiche di Manduria presentano tecniche diverse che corrispondono a tempi diversi. Nella cerchia interna, di forma vagamente pentagonale, i massi scavati dal sottosuolo e riutilizzati lasciando il vuoto del fossato, sono disposti tutti di testa e squadrati in maniera imperfetta. La cinta esterna, meglio conservata, assume una forma di tipo ovale ed è costituita, come abbiamo già notato, da una doppia cortina con terrapieno interno. Il suo spessore raggiunge 5 m. e i blocchi sono disposti alternativamente di testa e in direzione della lunghezza. Il terzo muro rinvenuto con gli scavi di Degrassi segue una tecnica più evoluta. I massi sono anch’essi sovrapposti senza malta, ma ben levigati e incastrati perfettamente. Trasportati e non ricavati direttamente dal sottosuolo circostante, addossati in alcuni punti alla cinta interna, fanno pensare a un muro di rinforzo costruito in tempo di tregua con la massima attenzione e cura. Il complesso murario si concludeva con la presenza di porte di accesso, delle quali sono rimaste tracce dei cardini. La tradizione ci tramanda quattro porte: Porta Brenna verso Brindisi, Porta Sybar verso Lecce, Porta Nettuno verso il mare, Porta Taras verso Taranto. Il Pacelli indica una Cittadella collocata a nord est e fa notare una probabile torre circolare posta lungo Via Del Fossato, della quale ancora oggi possiamo vedere la parte tondeggiante. Il sistema difensivo era munito di canali sotterranei percorribili che consentivano la fuga o gli attacchi al nemico. Per completare il quadro di un forte e geniale sistema difensivo ricordiamo la presenza delle numerose  specchie , che avevano la funzione di avvistamento.
 

 
Mura Messapiche a blocchi regolari
                                                                                

                                           
                                                     
                                                      Mura Messapiche a blocchi irregolari


                                                                  

                                                                    



 






 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

mercoledì 8 maggio 2013







BAROCCO E CONTRORIFORMA

LE CHIESE DI MANDURIA

 

 

 
 
CHIESA S. MARIA DI COSTANTINOPOLI
 
 
 

CHIESA S. MARIA DEL CARMINE

 

 
CHIESA SS. ROSARIO
 
 
 
 
CHIESA SPIRITO SANTO
Interno - Colonne Tortili
 
 
 

BAROCCO E CONTRORIFORMA 

LE CHIESE DI MANDURIA

di Maria Luisa Barbuti

Nel Seicento e nei primi decenni del Settecento, dal nuovo orientamento della chiesa di Roma nasce e si afferma in tutta Europa l’arte barocca. Questa discussa definizione sembra  corrispondere essenzialmente a “irregolare” come lo è la perla di fiume,  in portoghese:  barroco.  Sicuramente, rispetto alle geometrie, le regole, il senso della misura, le armonie e l’humanitas  dell’Umanesimo, il linguaggio dell’arte barocca provoca un effetto contrario, capovolgendo il vecchio ordine e trascendendo dall’umano al divino. Roma è il centro di diffusione dell’arte barocca e i maggiori committenti sono il papa e gli ordini religiosi, in particolare i Gesuiti. Nel clima della Controriforma, la chiesa  contrasta gli effetti  del protestantesimo, “comunicando” con i fedeli per mezzo di immagini persuasive e convincenti, capaci di risvegliare la fede e ricondurre le anime alla chiesa di Roma. L’arte diventa propaganda e come oggi avviene con la pubblicità, l’antico media delle immagini doveva possedere un forte potere suggestivo per impressionare i fedeli con effetti speciali paragonabili, oggi, agli effetti del cinema 3D, specie per ciò che concerne la pittura. Pensiamo alle illusioni prospettiche e allo spazio infinito negli affreschi  delle cupole e dei soffitti  che attraggono lo spettatore, inglobandolo nel turbine della gestualità dei personaggi e del dinamismo dell’impostazione strutturale. In architettura, la grandiosità del colonnato della Basilica di San Pietro di Gian Lorenzo Bernini non finisce di stupire ancora oggi:  come due immense braccia aperte, sembra avvolgere in un grande abbraccio i fedeli  in attesa della  benedizione del Papa. Anche le facciate e gli interni delle chiese meno emblematiche cambiano il loro assetto formale e come atto di devozione, le chiese preesistenti si adeguano al nuovo stile, arricchendosi  di decorazioni, di nuove cappelle e di altari. Il rinnovamento si riscontra in maniera particolare in Piemonte, Campania, Sicilia e Puglia, dove il barocco assume caratteri regionali come avviene nel caso del barocco leccese, che si discosta dal barocco romano, principale fonte  di ispirazione e centro propulsore .  Nel Seicento la città di Lecce, dopo le devastanti invasioni dei Turchi, riemerge e con l’appoggio della nobiltà e del clero, si abbellisce di chiese e lussuose abitazioni per esternare abbondanza, fasto e potere. La chiesa di Santa Croce è l’apoteosi della chiesa controriformata . La ricchezza della decorazione riveste la struttura architettonica della facciata, incantando i fedeli. Le colonne perdono la loro funzione di strutture portanti, rientrando nel gioco disegnativo. Sembrano infatti voler incorniciare rosoni, nicchie e statue, assimilandosi agli elementi decorativi. Gli andamenti curvilinei del contorno della facciata si richiamano l’un con l’altro, rendendo l’edificio sacro leggero e aperto verso lo spazio circostante. Senza indugio, si susseguono ornamenti floreali, festoni, puttini, ghirlande. Lo sguardo è sollecitato a non fermarsi. Complice di tali effetti è la pietra calcarea locale che, docile sotto i colpi dello scalpello, si presta ad ogni bizzarria. Il barocco leccese rimane un’espressione isolata e unica. Anche Manduria, nel Seicento, vive il rilancio della vita religiosa ed economica,  arricchendosi di chiese e monasteri, ma anche di opere civili, come il riassetto urbanistico voluto degli Imperiale. Viene costruita Porta Napoli (Arco di Sant’Angelo) e collegata in linea diretta con Porta Grande (Piazza Garibaldi); la strada si restringe verso il centro, creando un effetto scenografico di maggiore profondità spaziale. Entrando da Porta Napoli, alle cui spalle si erge la chiesa di San Michele Arcangelo, e procedendo verso Porta Grande , cuore della vita cittadina e religiosa,  si contano tre chiese in un tratto così breve: Santa Maria di Costantinopoli, San Leonardo, Chiesa del Carmine.  E’ chiaro l’intento di dare una veste religiosa alla città, fin dal suo ingresso. Tra gli esempi di chiese barocche più belle e rappresentative troviamo, oltre quelle menzionate, la chiesa di San Giuseppe, la  chiesa  dell’Immacolata, la chiesa  dello Spirito Santo, la chiesa del SS. Rosario. Osservando questa ricca produzione riscontriamo che Il barocco, a Manduria, rientra a pieno titolo nel barocco romano, ma con soluzioni formali eleganti e più sobrie, prive di eccessi. Sulle facciate delle chiese barocche di Manduria si riscontra una certa severità, come se l’edificio sacro volesse imporsi all’attenzione senza concedere troppe distrazioni, puntando più sul fascino  che sulla meraviglia, ma con richiami ben precisi alle linee guida della chiesa controriformata. Il vero scrigno lo si trova all’interno, con i magnifici altari scolpiti e la ricchezza degli abbellimenti. Ricordiamo a tal proposito l’impiego, modernissimo e al passo dei tempi per quell’epoca,   delle colonne tortili per l’altare della chiesa di San Giuseppe, utilizzate per la prima volta dal Bernini nel Baldacchino di San Pietro (Basilica di San Pietro a Roma), intorno agli anni 1624-1633. Le facciate delle chiese barocche di Manduria sono prevalentemente  contrassegnate da due corpi sovrapposti, di cui uno aggettante, come nella chiesa del Carmine dove il marcapiano orizzontale che divide le due parti è arricchito dalla balaustra. Questa chiesa costituisce un importante esempio di architettura barocca. La struttura architettonica ha un impianto ellittico (elemento tipicamente barocco) come quella della chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane di Francesco Borromini, Roma, 1634-1637. Il prospetto inferiore, suddiviso in tre spartiture verticali da lesene, comprende il portale centrale finemente decorato e  coronato da un aggettante frontone e ai lati, due  nicchie  a conchiglia con statue di Sante, arricchite anch’esse da frontoni.  Sulla balaustra si ergono, imponenti, le statue dei quattro Evangelisti : Matteo, Marco, Giovanni , Luca, che sembrano in atto di professare la fede cristiana. Il corpo centrale della chiesa, sopraelevato e di dimensione inferiore, termina con fastigio ad arco ribassato sormontato dalla statua della Madonna del Carmine posta al centro, con ai lati le statue dei Santi  Pietro e Paolo. La maggior parte delle chiese era dotata di conventi o monasteri e anche la chiesa della Madonna del Carmine presenta tutt’oggi l’attiguo Convento dei Padri Scolopi, divenuto sede municipale, che ospitò le migliori menti della città di Manduria che si dedicarono rigorosamente allo studio.



domenica 3 marzo 2013





IL FONTE PLINIANO  Manduria (Ta)
 
Maria Luisa Barbuti
 
 
 
 
     
Questo antichissimo sito prende il nome da Plinio, storico e naturalista latino che nella sua “Naturalis  Historia” lo descrive come “miracoloso” per le acque che sgorgano dalla sorgente. L’aggettivo può riferirsi sia alle proprietà terapeutiche dell’acqua sorgiva che filtra tutt’ora dalla falda acquifera, sia al fatto che il livello dell’acqua rimanga costante, indipendentemente dalla quantità che confluisce al centro della grotta. Possono essere valide entrambe le ipotesi, in quanto coesistono. Il Fonte era dunque conosciuto nel mondo antico e certamente frequentato dai Messapi. Questo per ciò che concerne la sua funzione sociale più immediata riguardante l’utilizzo di un bene prezioso e vitale come l’acqua, sorgente di vita.  Osserviamo però con maggiore attenzione la struttura del sito e cerchiamo di cogliere le suggestioni che provoca al visitatore.
Siamo in una grotta sotterranea, la cui calotta semisferica presenta un diametro di circa 18 metri e un’altezza di circa 9 metri, cioè con struttura modulare di 3 metri. Nonostante la successione degli interventi, un po’ complicata da definire in questa sede, possiamo risalire ad una grotta naturale, con successive modifiche da parte dell’uomo. Il concepimento di questo sito, molto più antico, ma riutilizzato per la stessa funzione dai Messapi, sembra essere a carattere rituale-religioso.
Si accede attraverso una scalinata tagliata nella roccia, attualmente sovrapposta da un’altra più stabile, in termini di sicurezza. Questo intervento purtroppo toglie già qualcosa al potere suggestivo e comunicativo del Fonte. Chi ricorda la ”discesa” impervia e incerta sugli scalini naturalmente irregolari e originali ha un tesoro da conservare: la lenta discesa che guida, inghiottisce e introduce al cuore del Tempio Sacro che accoglie come un grembo materno la vita che rinasce. Dalla luce dell’esterno si passa alla tenebrosità dell’interno il cui centro è inondato dalla luce proveniente dall’apertura tronco-piramidale posta in alto. Questo passaggio luce- tenebre, tenebre-luce sembra non essere molto diverso  da quello riscontrato nella simbologia della fede cristiana, d’altro canto espressa nelle varie epoche storiche in versione letteraria e visiva. Si pensi all’Inferno e Paradiso danteschi, agli affreschi di carattere religioso e alle Pale d’altare inondate dal sole nascente delle chiese romaniche. Cosa dire degli affreschi della chiesa controriformata dove l’illusione prospettica proietta i fedeli nella luce e nel cielo come in un film in 3D?  Siamo nella simbologia, nell’allegoria, nella suggestione, nei luoghi cioè dove la comunicazione visiva raggiunge direttamente il profondo dell’ essere umano, scavalcando culture e tempi, superando l’individuale e facendo perno sull’inconscio collettivo di Junghiana memoria.  A sostenere l’ipotesi del Fonte Pliniano come antichissimo luogo di rituali è proprio, a mio avviso, la struttura stessa con le sue caratteristiche. Dopo la discesa, la calotta semisferica ingabbia gli astanti in uno spazio geometrico ben definito e chiuso da una proporzione geometrica che non concede distrazioni. Lo sguardo ha solo una direzione: la luce del cielo. L’acqua è l’altro elemento presente nella grotta. Acqua e luce, elementi vitali e spirituali. Che il Tempio sia stato luogo di riti per la fecondità dove potevano compiersi anche atti sacrificali? D'altra parte, una nuova nascita doveva costituire un evento formidabile, misterioso e agognato, calcolando la lontana epoca. Fin dalla Preistoria vengono prodotte statuette della "Dea Madre" o della "Fecondità" e non è escluso che i "Riti Disioniaci" e la "Taranta" siano propiziatori in tal senso.
Le Divinità cambiano nel tempo e nello spazio, ma non è mai cambiato il bisogno umano di vivere emotivamente la tensione vita-morte-rinascita,di appellarsi ad una entità superiore riconducibile  alla “luce”  e all’aldilà.
 
      


giovedì 28 febbraio 2013

Sede della Mostra Permanente  "Oltre le Mura"




VISITA AL MUSEO

“ LA MOSTRA PERMANENTE OLTRE LE MURA”

 

La società ha mostrato nei secoli e millenni potenti trasformazioni, ma ci sono valori e comportamenti umani che non cambiano. Un popolo civile cerca a tutti i costi di conservarne i migliori, alcuni imprescindibili poiché connaturati con il profondo del nostro “essere”. Se andiamo a ritroso nel tempo vediamo che sono sempre esistiti e sempre esisteranno, fino a quando l’uomo sarà definito tale. Mi riferisco alla natura del “fare” , coincidente con il produrre “arte” : parlare di sé e del mondo circostante con il frutto delle proprie opere .Visitando un museo si apre ai nostri occhi uno spaccato di vita, di storia, di pensiero collettivo e individuale. In tutto il mondo sono presenti musei, cioè luoghi di conservazione delle opere d’arte o di altro materiale di carattere storico-culturale. La visita pubblica del museo è frutto della cultura dell’Illuminismo che estendeva il privilegio culturale a tutte le classi sociali e i più grandi musei del mondo sorgono proprio tra il Settecento e l’Ottocento.  Ricordiamo che il Louvre si costituisce Museo, quindi aperto al pubblico, dal 1793, in un panorama culturale e politico ricco di fermenti  in cui si pensa che la cultura e l’arte appartengano al popolo francese. Precedentemente la conservazione delle opere d’arte e delle collezioni era riservata ai ceti elevati ,ai principi e ai regnanti. Insieme ai grandi musei troviamo anche  piccoli gioielli, come “La raccolta Oltre le Mura” di Manduria che diventano “grandi” poiché rivelatori della cultura locale nella sua organicità.  I reperti archeologici provenienti dalla vasta necropoli messapica di Manduria, conservati  ed esposti al pubblico nella sede di Palazzo Blasi, raccontano la storia del territorio meglio di qualsiasi testimonianza cartacea: sono essi stessi “documentari” . L’elegante e chiara esposizione dei reperti guida il visitatore in maniera ordinata in un percorso che apre pagine di storia non ancore lette da molti. E’ un vero peccato che la cultura messapica incontri tanta difficoltà a ricongiungersi con la tradizione storico-artistica accademica e che rimanga relegata ad un ruolo di storia patria o che comunque non trovi ancora la giusta valorizzazione a livello nazionale. Ma tralasciando osservazioni più volte ripetute ed entrando nel vivo dell’argomento, la sintesi che scaturisce dalla visita alla” Raccolta  Oltre le mura” è la rivelazione in “toto” dell’antica società messapica.


Sono esposti nella mostra numerosi reperti facenti parte dei “Corredi Funerari” che accompagnavano il defunto nella sepoltura. Questi oggetti, appartenuti al defunto quando era in vita, diventano il simbolo della sua identità, del suo modo di vivere. Troviamo tombe femminili, maschili e del bambino, contrassegnate da corredi ben distinti. Nelle tombe femminili, i reperti ci fanno immaginare una donna raffinata che è simbolo di fertilità e femminilità . Una madre che ama, nutre e fa divertire i suoi bambini, che laboriosamente tesse al telaio le sue tele. Nella tomba dei bambini troviamo piccole trozzelle per le bambine, giocattoli come statuette, sonagli , poppatoi, gioiellini per tutti. Dalle tombe maschili comprendiamo che la società messapica era organizzata per  allenarsi e per  combattere. Nella tomba del guerriero vediamo infatti cinturoni, punte di lancia e lame di coltelli, un elmo da ”parata” in terracotta.  Dalla tomba dell’atleta immaginiamo corpi maschili forti, ben allenati e curati con unguenti , detersi con lo strigile, alla maniera greca. Dalle tombe del Simposio immaginiamo uomini riuniti per argomentare e sorseggiare vino, che sembra essere stato privilegio maschile. Elemento comune del corredo funerario è la lucerna, antichissimo simbolo di passaggio all’aldilà. In una società supertecnologica, bellissima ma troppo spesso  frastornate e confusa, entrare nel  museo e  lasciarsi prendere da un film virtuale di 2500 anni fa  è davvero stupefacente!

 
 
VIDEO DEI CORREDI FUNERARI MESSAPICI DI MANDURIA (TA)
Realizzato da Maria Luisa Barbuti
 
 

CHIESA SS. TRINITA' MANDURIA - FOTO

 
Navata centrale

 
Rosone
 

 
Portale centrale con lunetta

 
Puttino con cartiglio

 
Teschio parlante

 
Leone del lato destro

 
San Gregorio Magno Benedicente (particolare)

San Gregorio Magno Benedicente

La Chiesa Matrice SS. Trinità Manduria (Ta)


La Chiesa Matrice della SS. Trinità di Manduria

 

soffermiamoci prima di entrare

 

 

di Maria Luisa Barbuti

Tra le numerose testimonianze storico-artistiche che possiamo ammirare nella città di Manduria la Chiesa Madre occupa un posto centrale, non solo per la sua impor­tanza, bellezza e rarità ma anche perché, sorgendo su un antico in­sediamento messapico, testimonia la continuità culturale di un po­polo che si rinnova e che lascia le proprie tracce sullo stesso luogo, determinando sorprendenti strati­ficazioni. Moltissimi monumenti hanno una storia che parte da lon­tano, sia nel senso di una rinnovata edificazione, sia nel senso del riu­tilizzo di materiale di spoglio o di cimeli di guerra provenienti spesso da territori lontani. Le testimonian­ze dell’arte non sono solo eventi “estetici”, ma veri documenti della storia, della cultura e della civiltà di un popolo. Le timide ma elo­quenti informazioni sui ritrova­menti archeologici nell’antico sito dove attualmente sorge la chiesa e l’analisi formale di ciò che appare tutt’oggi ai nostri occhi ci parlano della presenza dell’arte messapi­ca, probabilmente anche romana, romanica, rinascimentale per poi giungere ai segni degli interventi sette-ottocenteschi, fino al restauro del ‘900. Dopo la conquista roma­na e secoli di invasioni Manduria rinasce nell’XI sec. con il nome di Casalnuovo per volontà di Rugge­ro il Normanno. In tale contesto, nell’antico centro della città messa­pica di Manduria viene edificata la chiesa normanna, cuore della vita religiosa e cittadina. Nei secoli in­torno all’anno Mille sorgono in tut­ta Europa pievi, chiese, cattedrali, monasteri e abbazie per risponde­re alla funzione religiosa e sociale della chiesa che, oltre a professare la fede dava ospitalità specie lungo la via dei pellegrinaggi ed era luo­go di assemblee cittadine. Come in altri contesti del territorio nazio­nale anche la struttura urbanistica della città medievale di Casalnuo­vo prevedeva la collocazione della chiesa al centro, con strette vie e vicoli che la collegavano e la col­legano tutt’ora all’esterno. Intorno c’erano i “servizi” come il mercato, tanto che questa area conserva an­cora il nome originario cioè Piaz­za Commestibili. Il rapporto tra la chiesa attuale e quella medievale non è ancora ben definito, ma è certa la presenza di alcuni elementi che ci riportano indietro nel tempo, come i leoni sul portale d’ingresso (che potrebbero essere ancora più antichi) ed alcune strutture interne ed elementi architettonici. Si pen­sa che la chiesa normanna avesse dimensioni più modeste di quella attuale e che fosse composta da tre navate e dalla sacrestia, mentre il campanile, chiamato “La gran torre della chiesa”, potrebbe essere stato costruito precedentemente con sco­pi militari o civili. Altro particolare che ci riconduce all’esistenza di un’antica chiesa è l’esposizione del prospetto a ponente, in uso nel pe­riodo medievale. Questo affinché il sole nascente, penetrando nell’edi­ficio attraverso le finestre dall’ab­side, illuminasse subito l’Altare Maggiore. Anche l’inserimento del rosone sulla parte centrale della facciata, sebbene costruito durante il rifacimento cinquecentesco, rien­tra nello stile di una precedente ti­pologia architettonica che richiama il romanico-gotico. Altri interventi ed ampliamenti furono eseguiti nel ‘700 e nell’800 e la restituzione dell’aspetto attuale della chiesa è il risultato del restauro dell’architetto Cesanelli che negli anni 1937-1939 la liberò dalle sovrastrutture sette-ottocentesche. Nonostante sia stata costruita in tempi diversi, la strut­tura architettonica risulta organica, maestosa ed elegante, di impronta rinascimentale. C’è qualcosa però che interessa, fa riflettere e affasci­na più della sua bellezza: l’interpre­tazione iconografica e la funzione comunicativa delle raffigurazioni sulla facciata. Queste, come nelle chiese e cattedrali romaniche e go­tiche hanno lo scopo di insegnare la fede religiosa ad un popolo che non sapeva leggere. Rinascimento, dunque, ma anche forte spirito reli­gioso e funzione didascalica delle immagini sacre. La facciata della Chiesa è una bibbia “scolpita”, che insegna e ammonisce.

Sulla facciata sono presenti due portali laterali di fattura settecen­tesca, mentre quello centrale fu realizzato, ad altorilievo, da Rai­mondo da Francavilla nel 1532. Il Portale centrale è sormontato da una lunetta ad arco ribassato dove troviamo la rappresentazione del­la SS. Trinità alla quale è dedicata la chiesa. Al centro della lunetta possiamo ammirare l’Eterno Padre che regge sul grembo il Cristo, ancora sulla Croce, contrariamente alla tradizio­nale iconografia delle “De­posizioni” dove il corpo del Cristo Morto, deposto dalla croce, è adagiato sul grembo della Madonna. Nei pennac­chi ai lati della lunetta è rap­presentata l’Annunciazione con L’Angelo Annunciante e la Madonna con lo Spirito Santo.

Soffermiamoci sul portale centrale e partiamo dall’osserva­zione dei due bassorilievi sulle due paraste, all’altezza dei nostri occhi. Sulla soglia, ancor prima di entra­re, il nostro sguardo è attratto dalle due immagini. Sulla parasta di sini­stra è rappresentato un puttino con cartiglio su cui è incisa una scritta riferita alla transitorietà della vita umana. Il puttino poggia i piedi su un contenitore a forma di calice e ci dà l’impressione di rappresenta­re la vita. In contrasto, sulla parasta di destra, troviamo un altro basso­rilievo che rappresenta un teschio dalla cui bocca esce un cartiglio a forma di falce con incisa una scritta di monito che invita l’osservatore a vedere come diventerà dopo la morte. Vita e morte, inizio e fine, purezza e peccato. La vita è il pas­saggio all’aldilà.

Volgiamo ora lo sguardo verso “l'alto” per osservare la lunet­ta con la SS. Trinità. Vediamo la storia di Gesù raccontata ancor prima della sua nascita, con l’An­gelo Annunciante e la Madonna. Prima dell’inizio e senza una vera e propria fine, poiché il Cristo sul grembo dell’Eterno Padre è anco­ra sulla Croce, non è morto. Forse il messaggio vuole dirci che è de­stino dell’uomo portare la croce della sofferenza e lasciare le cose terrene, ma che Cristo non muore poiché Padre, Figlio e Spirito San­to sono un’unica persona e se l’uo­mo si affida alla SS. Trinità avrà il dono della Resurrezione. Ai piedi della SS. Trinità si legge in latino (Hii tres unum sunt).
Ritornando ai restauri e rifacimenti ricordiamo che nel periodo rinasci­mentale ai lati dell’antica chiesa fu­rono costruite cappelle indipenden­ti e nel Settecento, abbattuti i muri di separazione, le navate da tre di­vennero cinque. Un altro importan­te intervento fu la costruzione del Cappellone dedicato al Santo Pa­trono “San Gregorio Magno”, edi­ficato negli anni 1788-1792 a spese di tutta la cittadinanza di Manduria. Nel Cappellone sono custodite due bellissime statue del Santo. Nella nicchia a destra è custodita la sta­tua lignea policroma di San Gre­gorio Magno nelle vesti papali ese­guita nel 1786 dai fratelli Trilocco, scultori napoletani. Nelle nicchia a sinistra è posta una seconda statua del Patrono, in cartapesta policro­ma, eseguita a Lecce nel 1902 dal Carretta.